sabato, Aprile 20, 2024
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Contro una sterile deriva tecnologica servono gli “integratori versatili”

Andamento lento! È il titolo di un brano di Tullio de Piscopo che contrasta decisamente con il ritmo della musica. Può valere lo stesso anche per descrivere il processo innovativo dei nostri giorni? 
Quando pensiamo al progresso tecnologico immaginiamo fenomeni rapidissimi, anzi sotto molti versi l’istantaneità è la caratteristica sostanziale della rivoluzione digitale. La società del tempo reale ha consentito una straordinaria riduzione (quando non addirittura l’annullamento) dei lag di trasmissione delle informazioni.
Già nel 1963 Gordon Moore (tra i fondatori di Intel) evidenziò che le velocità di calcolo in termini di minimo costo sarebbero raddoppiate ogni anno, successivamente George Gilder parlò di un aumento dell’ampiezza della banda tre volte più rapido della potenza dei computer, con un raddoppio ogni sei mesi delle capacità.
Infine Raymond Kurzweil dimostra che l’evoluzione della tecnologia è un processo a crescita esponenziale: il tasso di adozione di nuove idee raddoppia ogni decennio: “Ci abbiamo messo mezzo secolo per adottare il telefono, la prima tecnologia della realtà virtuale […] Tecnologie recenti, come il pc, il web, i cellulari, in meno di un decennio”.
Il punto è che l’adattabilità umana al progresso tecnologico non segue lo stesso ritmo esponenziale, ma ha invece un andamento proporzionale: così nasce una sorta di deficit di adeguamento tecnologico dato dalla differenza tra i due andamenti.
Deficit di adeguamento tecnologico:

Gaetano Fausto Esposito

Già oggi la complessità di evoluzione tecnologica è andata oltre i limiti della nostra capacità di metabolizzare il cambiamento… ma se non è possibile (e forse neanche utile) rallentare il ritmo del cambiamento tecnologico può essere opportuno identificare alcuni aspetti del nuovo modo di concepire l’innovazione basato sulla condivisione, sulla sedimentazione della cultura e la “valorizzazione del tempo”.
Perché non è detto che cambiamento tecnologico e innovazioni debbano procedere necessariamente allo stesso ritmo. Almeno spesso non è utile che ciò avvenga, se si vuole evitare una sterile deriva tecnologica che non alimenta il benessere, ma rischia di ridurlo (con la semplice sostituzione delle macchine all’uomo). Servono spazi di decodifica e di sviluppo di “abilità ricombinanti” che secondo Erik Brynjolfsson e Andrew Mc Affe rappresentano poi la vera sfida per metabolizzare il progresso tecnologico, servono quelli che molti anni fa Giacomo Becattini e Enzo Rullani definirono gli “integratori versatili”, cioè fattori capaci di ricondurre a unità un processo complesso e articolato come quello del cambiamento tecnologico. 
Il primo di questi integratori versatili è rappresentato dalle capacità umane e dalle competenze che si accumulano sui territori. Intendiamoci una delle caratteristiche della rivoluzione digitale è che la tecnologia passa da un carattere applicativo (di strumentalità) rispetto ai processi produttivi noti (migliorandone produttività ed efficienza) a uno trasformativo e generativo, ossia il suo utilizzo stimola/induce nuove e inedite modalità di concepire processi, beni, prodotti, servizi, bisogni.
Perché ci sia sviluppo effettivo, e quindi anche vero incremento del benessere delle persone, l’innovazione deve avere quelle caratteristiche combinatorie che nascono dalla creatività come mix di idee, capacità delle persone e uso delle tecnologie trasformative.
È un concetto antico, che appartiene anche alla nostra storia se già a metà del 1800 Carlo Cattaneo affermava: “l’intelligenza è la capacità di vedere in una cosa che tutti osservano… qualcosa di nuovo di inatteso e di promettente. Il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola. Il genio si tiene per mano alla catena de’ suoi precursori”. 
In altri termini per Cattaneo l’innovazione è il frutto di un processo collettivo derivante dall’associazione di più menti e passa per vere e proprie forme di incivilimento che non possono prescindere dalla relazionalità sociale e dalla condivisione di conoscenze. Perché se l’essenza dell’innovazione è nella sua capacità di mettere insieme aspetti diversi alla luce del nuovo paradigma tecnologico, allora, per dirla con le parole di uno dei maggiori esperti del settore (Brian Artur) “inventare qualcosa è trovarlo in quello che già esiste”.
L’innovazione 4.0 è allora in primo luogo un processo sociale (non semplicisticamente alimentabile attraverso i social network), impregnato dalla capacità trasformativa delle tecnologie digitali. Queste ultime favoriscono forme di connessione, ma non possono sostituire una relazionalità più articolata e personalizzata. Quella relazionalità che è alla base della creatività.
Molte esperienze innovative sono il frutto di un trinomio: comunità (e non solo community digitale), collaborazione e condivisione. Perciò il paradigma di una innovazione sociale si basa su:

lo sviluppo di processi di co-creazione tra produttori e consumatori, tra utenti e fornitori;
la costruzione, manutenzione e sviluppo di comunità di persone;
l’enfasi sul collante rappresentato dai processi fiduciari che spingono a un’apertura verso nuove esperienze e alla messa in comune di risultati.

In particolare la seconda e la terza caratteristica hanno bisogno di tempo per sedimentarsi ed esprimere i propri potenziali conoscitivi creativi; richiedono un adeguamento dei processi educativi (non solo nell’acquisizione delle tecnologie trasformative, ma anche nell’interconnessione con altre forme di conoscenza e di sapere umanistico che riassumono gli aspetti di una vera e piena cultura), passano per l’arricchimento comunitario di reti di relazioni e soprattutto si configurano come fenomeni di grande apertura verso gli altri.
Se allora vogliamo che potenziale tecnologico e creatività possano alimentarsi reciprocamente dando luogo all’innovazione serve quell’“andamento lento” che ritroviamo nell’esperienza di tanti nostri imprenditori e giovani start-up di successo, che spesso identificano nei luoghi dei veri e propri punti di accumulazione di sapere e di diffusione innovativa.
Ridare valore al tempo rilanciando forme di condivisione e di relazionalità basate su processi fiduciari è forse oggi l’unico modo per contrapporre all’istantaneità di un pensiero veloce, la forza di un pensiero creativo. In questo grandissima responsabilità assume una vera formazione, non ridotta a sterile specialismo, ma capace di recuperare modalità e contenuti che umanizzino il progresso tecnologico, indirizzandolo verso un effettivo sviluppo della persona e della società.

di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale di Assocamerestero

Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).
 
 

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