venerdì, Marzo 29, 2024
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Il capitalismo è morto, viva il capitalismo!

Il capitalismo è morto? Al termine di ogni grande crisi ci si interroga sulle sorti del capitalismo e delle sue istituzioni più emblematiche: l’impresa e il mercato. Discussioni che riecheggiano la ciclicità delle crisi… Ma fanno riflettere oggi più che nel passato, perché sono mutate le condizioni di base del primo capitalismo e quindi anche il ruolo e le caratteristiche delle sue istituzioni.
Il capitalismo nasce (e si sviluppa) da una triade: la proprietà privata dei fattori produttivi e la possibilità di escludere altri dal godimento dei beni; la limitazione delle responsabilità nel business con l’istituzione della società anonima e quindi di quella per azioni; una finanza di supporto a questi processi perché mobilizzava i risparmi orientandoli verso usi produttivi. Una sorta di triangolo in cui tutti e tre questi fenomeni avevano un peso equilibrato: un triangolo equilatero!
Impresa (di tipo fordista) e mercato erano le istituzioni di questo capitalismo: la prima organizzava in modo gerarchico la produzione e i fattori produttivi, il mercato assicurava lo scambio tra le diverse componenti e prodotti materiali. In questo scenario il fine dell’impresa era chiaro e ben espresso in un articolo del Premio Nobel Milton Friedman negli anni Settanta sul “New York Times Magazine”: fare profitti per assicurare lo sviluppo. Senza distrazioni.
Nel tempo, come ci insegna in genere la storia delle crisi e soprattutto dell’ultima, l’equilibrio tra questi fattori si è alterato: la finanza speculativa ha assunto un ruolo assorbente rispetto al fare impresa basata sugli aspetti reali; speculare sulle plusvalenze è più conveniente che produrre. Certo ci sono state delle eccezioni, l’impresa fordista ha manifestato i suoi limiti e il mercato, in alcune realtà come quelle dei distretti industriali ha dimostrato la capacità di supplire a questa deriva… Ma non poteva bastare! E infatti non è bastato.
La crisi del capitalismo vecchia maniera e dell’impresa integrata e fordista è dovuta all’affermarsi di un nuovo paradigma, basato su di un nuovo triangolo: accesso ai fattori, piuttosto che acquisto della loro proprietà, condivisione di processi e di informazioni e… personalizzazione dei rapporti.
Ne vengono modificate anche le istituzioni del capitalismo. L’impresa non solo perde i caratteri gerarchici e fissi del fordismo, ma vede anche sfumare sempre più i suoi confini, non è più un contenitore di processi produttivi, da “difendere” per il contenuto materiale delle lavorazioni che si realizzano, una sorta di insieme di contratti tra lavoratori (gestiti con incentivi monetari) fornitori e clienti, ma si tramuta in un complesso di relazioni aperte con quello che oggi si chiama l’eco-sistema. Per dirla con Zygmunt Bauman diviene “liquida” e il ruolo dell’imprenditore (ritornato centrale rispetto alla tecnostruttura manageriale dell’azienda fordista) è di favorire un processo di apertura, che porta a sfumarne i confini, attraverso una gestione sempre più aperta. Tutto ciò ridà centralità al mercato: non più solo ambito di incontro tra flussi di beni e servizi per definirne il prezzo, ma luogo di relazionalità, in cui iniziano a incontrarsi (non solo a scambiarsi) idee, propensioni e… quindi innovazioni. Il tutto favorito dalla pervasività dei processi di digitalizzazione che hanno portato una seconda rivoluzione delle macchine, che riduce (e spesso annulla) la distanza nella trasmissione di idee! Un mercato per generare quelle meta-idee che generano innovazione e quindi sviluppo.
È la fine del capitalismo? Non ci sembra proprio… Come sostiene l’economista di Harvard, Dani Rodrik, il capitalismo non è morto, ma va reinventato, e il cambiamento delle sue istituzioni va in questa direzione. Sotto molti versi impresa e mercato convergono e si crea uno spazio per ridare vita a dei beni comuni con forte valore cognitivo. Strano destino: alla genesi del vecchio capitalismo della triade proprietà-finanza-responsabilità limitata si trovava il movimento delle “enclosures”, le recinzioni dei pascoli comuni nell’Inghilterra del ‘700.
Oggi questo concetto di beni che possono essere goduti da più persone (capaci anche di arricchirne il valore di conoscenza) e che però sono deperibili ritorna prepotentemente di attualità, sulla scia della nuova triade utilizzo-condivisione-personalizzazione.
Il capitalismo è vivo, ma perché sia anche vitale deve aggiungere una diversa considerazione dei valori etici e morali…. Non solo di quelli esclusivi di ordine borsistico-finanziario. Diviene allora un capitalismo civile attento anche al ruolo delle persone, non per una sorta di amore verso il prossimo, ma… perché conviene!
Un modo per rigenerare il capitalismo, riconosciuto anche dalle imprese. Una indagine sul campo condotta con Antonella Ferri e Andrea Mazzitelli (e riportata nel nostro volume “Impresa senza confini e marketing al futuro”) su alcune imprese propense all’innovazione dà sotto molti versi risultati sorprendenti: quasi l’81 per cento dei rispondenti ritiene molto rilevante, o comunque importante, mantenere un comportamento ispirato dalla fiducia verso gli altri come un vero e proprio valore costitutivo dell’azienda; per oltre il 78 per cento è importante una cultura aziendale basata su integrità e condivisione e una percentuale analoga sottolinea il rilievo di una responsabilità orientata verso la sostenibilità sociale per coinvolgere lo sviluppo dell’intera persona. I giudizi sui comportamenti imprenditoriali prioritari descrivono un livello di consapevolezza elevato su aspetti civici e responsabilità: sui valori!
Valutazioni sugli aspetti caratterizzanti i comportamenti imprenditoriali (valori percentuali)

Caratteristiche
Giudizio

Basso/non rilevante
Molto alto

Lealtà e fiducia negli altri

43,9

Diffondere una cultura aziendale condivisa basata sui valori di integrità e rispetto reciproco
1,9
43,0

Creare qualcosa che possa crescere nel tempo ed essere utile alle persone
4,4
44,2

Essere responsabili di un progetto di sviluppo umano e sociale che va oltre l’impresa ed è socialmente sostenibile
3,6
33,4

Non dobbiamo solo produrre le cose, ma anche far vivere meglio le persone dal punto di vista culturale e sociale
7,8
40,8

Fonte: G.F. Esposito, M.A. Ferri, Impresa senza confini e marketing al futuro. Per un capitalismo civile e un’impresa socialmente responsabile, Mc Graw Hill, 2018.
A un capitalismo basato sulla creazione di valore (monetario) si sta affiancando (almeno nella consapevolezza di molti) uno più orientato ai valori etici, che aiutano proprio a conseguire il maggiore valore monetario!
Il capitalismo allora è ancora vivo, e sta dimostrando (ancora una volta) quella capacità di adattamento e di modifica delle sue istituzioni che, per dirla con le parole del padre del marketing Philip Kotler, lo rende “il modo peggiore di gestire un’economia, a parte tutte le altre forme che sono state sperimentate e che hanno fallito”!
di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale di Assocamerestero
Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).

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