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Coronavirus e nuove egemonie mondiali: Confucio batte Zio Sam?

Nel 1689 Leonardo da Capua, un medico (e filosofo) napoletano di grande reputazione, nel suo “Parere” (pubblicato a Napoli) scriveva, in controtendenza rispetto ai suoi colleghi di allora: “si scorge quanto ben forniti fossero de rimedi efficaci gli antichi cinesi dalle maravigliose cure che con essi tuttavia fanno i moderni medici” e invidiava “aver costoro rimedi da poter guarire le più gravi malattie, tra cui il ginseng e il tè”.
Strano destino della storia. C’era una sorta di ammirazione in quelle parole per alcuni rimedi della medicina cinese (e quindi per la sua cultura).
Allora la Cina era tra i paesi con una forte presenza economica mondiale. Ma era prima della Rivoluzione industriale, quella che dalla seconda metà del 1700 avrebbe causato il dominio economico dell’Inghilterra e poi del mondo occidentale.

Maddison, Angus, 2006

Già da tempo assistiamo a un ribaltamento di situazioni economiche. Una sorta di inversione di rotta nel potere economico secolare (la “convergenza inevitabile” di cui parla l’economista Premio Nobel Michael Spence) che il tragico evento del COVID-19 potrebbe ingigantire e soprattutto accelerare.
Uno stato, o un gruppo di paesi, diviene egemone quando – oltre a esercitare un forte peso dal punto di vista economico – si afferma come modello di riferimento in termini di pensiero, di cultura e di stili di vita. Cioè quando i suoi valori sono assunti e condivisi in maniera più generale e vengono introitati e condivisi dalle persone (o almeno dalle classi dirigenti).
Per il noto storico economico Charles Kindleberger le nazioni egemoni esprimono una particolare mentalità, che consiste in valori sociali e nella loro capacità di influenzare lo sviluppo economico.
A partire dal Secondo dopoguerra l’America è la nazione egemone anche per mentalità: il modello americano si è diffuso nel mondo non solo in termini di predominio economico, ma come stile di vita, più in generale c’è stata l’affermazione di un capitalismo (di stampo anglosassone) che parla americano, con qualche parola di tedesco e di giapponese (in qualche caso di arabo). Lo stesso è capitato per i modelli mentali.
Secondo la cosiddetta legge di Cardwell (una specie di regola storica) nessun paese è stato alla guida dell’innovazione tecnologica per più di due o tre generazioni, dopo si assiste a una fase di declino. Una relazione empirica controversa! Ci possono essere delle eccezioni e anche dei rilanci, ma quando perdi l’egemonia tecnologica prima o poi sei sconfitto anche sugli altri versanti. Fattori imprevisti e imprevedibili possono accelerare o prolungare un ciclo.
Oggi siamo tutti preoccupati per le conseguenze sanitarie del coronavirus, cui seguiranno pesantissime conseguenze economiche, ma tutto questo sta portando anche a un cambiamento negli stili di vita, di lavoro e nei valori, reso possibile da uno straordinario uso della tecnologia digitale. Tecnologia e valori alla fine accompagnano l’affermazione di una egemonia.
A partire dal Secondo dopoguerra gli Stati Uniti hanno diffuso valori di democrazia e di sviluppo che identificavano nella “via americana” e nel “sogno americano” il benchmark; nel (libero?) mercato e nella competizione una specie di metro con cui misurare non solo la vita economica, ma quella sociale, finanche le relazioni tra le persone. Il tutto enfatizzato, a partire dagli anni Ottanta, dal turbo-capitalismo finanziario.
Ma gli Stati Uniti, nell’immaginario collettivo, rimanevano una “potenza buona”: quella che interveniva nelle situazioni di difficoltà in vaste aree del mondo: un po’ come il “Gigante amico” della pubblicità di una nota casa dolciaria negli anni Settanta (anche se alla fine gli interventi erano funzionali ai suoi interessi) una potenza aperta, quando c’erano problemi internazionali ci “pensavano loro”!
La crisi finanziaria innescata dagli Stati Uniti, ma il cui virus si è diffuso nel mondo, ha ampliato i fenomeni di precarizzazione negli stessi Stati Uniti, accresciuto le diseguaglianze, creato astio e risentimento nelle persone, modificandone l’atteggiamento mentale…
L’ ”America first” di Donald Trump ha assunto via via l’immagine di una forma di chiusura verso gli altri, l’enfasi sull’individualismo è interpretata (anche nel caso del contagio coronavirus per le prime dichiarazioni e le modalità di affrontare l’emergenza dell’epidemia) come chiusura egoistica all’aiuto verso gli altri, da parte del paese che comunque è ancora il più ricco del mondo (con un Pil di oltre 20.550 miliardi di dollari, tallonato dalla Cina che ne fa quasi 14.000).
Un paese che prima ha sottovalutato (come molti del resto) il pericolo infettivo e poi lo ha attribuito alla mancanza di informazioni da parte della nazione da cui è partito. Da gigante amico (sotto alcuni aspetti) ha assunto le vesti del suo antagonista: Jo Condor!
La ripartizione della ricchezza mondiale

Howmuch.net

Può anche darsi che ci sia un fondo di verità in questa narrazione, ma che forse la crisi cominciata con il crollo della Lehman Brothers non era stata favorita dalle politiche statunitensi e dall’assenza di adeguate informazioni finanziarie?
Guardiamo alla Cina: un paese che sicuramente non risponde ai canoni della democrazia occidentale, con un vissuto di comportamento unfair nel commercio internazionale, da dove si è diffuso il virus, ma che ha dimostrato di riuscire a combatterlo efficacemente. Un paese che ora si sta dimostrando solidale (anche in questo caso seguendo sue convenienze… ma perché no?), un paese i cui valori si ispirano a un confucianesimo figlio di una cultura antica, sintesi di razionalismo laico e consapevolezza etica, a un’amministrazione paternalistica e solidale contrapposta alla democrazia pluralista e all’individualismo che divide il corpo sociale delle democrazie anglosassoni.
Si tratta di valori che sotto molti versi l’isolamento forzato dovuto in questi giorni al coronavirus ci sta facendo riscoprire e (in tanti casi) apprezzare. Come ci ricorda Amartya Sen, filosofo ed economista da Nobel, i valori non sono immutabili, ma la loro formazione può avere natura (e influssi) diversi!
Ci chiediamo allora se la cultura confuciana, con quelle caratteristiche di pragmatismo che la caratterizza, non stia oggi dimostrando una superiorità, tale da rendere la Cina non solo un paese forte e potente economicamente, ma anche in grado di esercitare un ruolo egemone in senso più pieno rispetto alla cultura individualistico-capitalista di marca angloamericana. Il tutto accelerato dalle trasformazioni sociali che l’emergenza COVID-19 sta portando.
Forse lo “spirito del capitalismo” di weberiana memoria va contemperato con alcuni principi dell’etica del confucianesimo (che richiamano a lealtà, empatia, affidabilità, valorizzazione dello studio e della riflessione di lungo periodo….).
Il virus non può sconfiggere il capitalismo, ma forse le sue conseguenze ne stanno modificando i fondamenti sociali. Non tutto sarà come prima! Dal 1945 sono passate tre generazioni… e se avesse ragione Caldwell che è arrivata l’ora di un cambio di nazioni egemoni?

Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).

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