giovedì, Marzo 28, 2024
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Il Made in Italy tra tradizione e nuove tecnologie

Sontuosi abiti lunghi, dalle forme antiche e ricercate. Tinte elaborate e dettagli che ne rivelano l’identità culturale. Rispetto dell’ambiente e cura dei particolari. Eleganza, sobrietà, fascino. Dove il nuovo si intreccia con la tradizione. E dove la storia locale abbraccia il contemporaneo. L’arte del fare, insieme alla tecnologia. Perché, nel 2017, l’una non può più esistere senza l’altra.
Il 12 ottobre, all’Art Center del Queens College, della City University of New York, è stata inaugurata la mostra “The Fabric of Cultures: Systems in the Making”, che rimarrà aperta ai visitatori fino al 15 dicembre. Un progetto, una riflessione sull’arte e sull’abilità di creare unita all’utilizzo di nuovi strumenti. Indispensabili per lanciare il “fatto a mano nel futuro”. Un linguaggio comune, che tiene insieme il rispetto delle persone e dalla cura dell’ambiente”. A scriverne è Giovanna Pavesi per “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“Tra le vetrate della struttura, una carrellata di abiti e colori di ogni tradizione, accolti dallo sguardo di New York, la capitale globale della moda, ma anche centro di design attraverso il Tek-Tiles Project del Pratt/Brooklyn Fashion+Design Generator. Dove tutto prende forma.
Un nuovo Made in Italy in un contesto “transnazionale”, che attraversa i confini. E che si sposta, lasciandosi contaminare dal dialogo con le nuove tecnologie. Locali e globali. Il fatto a mano e la contemporaneità. Qualità e radici. Per trovare delle “soluzioni nuove di praticità e bellezza”. L’ha sintetizzato così, in un intervento durante l’inaugurazione, la professoressa Eugenia Paulicelli, che cura la mostra e che dirige l’Advanced Certificate of Italian Culture for the 21st Century al Queens College e il programma di Fashion Studies al Graduate Center (della Cuny).
Per i non italiani, una serie di esperienze. Oggetti che, attraverso il consumo, diventano parte di una “mappa emozionale”, che si concretizza grazie alla narrativa dei nuovi media. Da parte dei designer italiani attenzione, ricerca e cura, che collega le loro collezioni al luogo della manifattura. Sottolineando l’importanza della cultura e delle tradizioni locali.
Cesare Attolini, Antonio Marras, Orange Fiber and Salvatore Ferragamo, Silvia Giovanardi, FrancyGi, Emanuela Errico, Maria Francesca Nigro, Cangiari/Goel, Giulietta Salmeri, Marzia Donzelli e “Arte e Ricamo”, una realtà imprenditoriale al femminile che, dal 1973, lavora con marchi internazionali come Emilio Pucci (presente all’esposizione), Dolce & Gabbana, Tom Ford, Versace, Vivienne Westwood e Fendi. In mostra, un misto di esperienze regionali. Da Nord a Sud.
Presenti all’inaugurazione anche Maurizio Forte, direttore dell’Italian Trade Commission (ICE/ITA New York) ed Enrico Libani, il CEO America di Cesare Attolini.
L’alta artigianalità che si lega alla tecnologia. A delineare i due elementi alla base del progetto delle Fabric of Cultures è stato Maurizio Forte, con un aneddoto. Un connubio che rappresenta il cuore del Made in Italy e che pone l’Italia al centro di questa avanguardia, perché tra i primi Paesi nell’esportazione di macchinari di alta tecnologia. Enrico Libani, invece, è intervenuto raccontando al pubblico la nascita della “giacca napoletana”. Leggera e destrutturata, fu pensata per adattarsi al corpo di chi la indossava. Nacque negli anni Trenta dall’ingegno di Vincenzo Attolini, padre di Cesare e nonno di Massimiliano e Giuseppe, gli attuali dirigenti dell’azienda. La sua fu una rivoluzione sartoriale perché contribuì a creare un’immagine completamente diversa dell’eleganza maschile. Inventò uno stile, spinto molto oltre i confini di Napoli, ma fortemente legato all’impronta della cultura del fare partenopea. Un riferimento anche al lavoro attuale degli artigiani nella sartoria: un impiego individuale e collettivo, in cui ognuno si specializza in un singolo dettaglio della giacca. Il collo, l’asola e la manipolazione della morbidezza della giacca.
La mostra è anche occasione di debutto per Christina Trupiano, l’artista che ha ricreato l’iconico abito Tanagra, disegnato nel 1908 dall’attivista e designer Rosa Genoni, che fu sarta, giornalista e femminista. Socialista e ferma oppositrice del fascismo, divenne un’eroina poliedrica della nascente moda italiana. Per le sue creazioni, Genoni impiegò esclusivamente tessuti italiani”. (aise)

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