venerdì, Aprile 19, 2024
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“L’Italia che verrà… di Gaetano Fausto Esposito

Guardando all’andamento dell’economia italiana negli ultimi mesi, e in prospettiva per i prossimi, l’immagine che se ne rileva è quella di una imbarcazione che si trova a navigare in un mare in tempesta e che, anche con una certa agilità, affronta gli alti e bassi delle onde. Questa capacità si chiama in sintesi resilienza.

Se guardiamo a quelli che gli economisti chiamano le “grandezze fondamentali” scorgiamo un sistema solido nella sua dimensione economico-produttiva.

La testimonianza è stata il forte “rimbalzo” dello scorso anno, una volta attenuati i vincoli di lock down e le restrizioni allo spostamento di persone e di cose.

Il nostro paese ha registrato un recupero record del prodotto, da far invidia anche ad economie tradizionalmente molto più robuste della nostra, come quella tedesca.

E questa tendenza sembrava destinata a proseguire, pur se da tempo si stavano addensando sul mare alcune nuvole di tempesta. Già da diversi mesi si registravano tensioni sul mercato delle materie prime, non solo quelle energetiche, che potevano portare preoccupazione, ma il conflitto russo-ucraino è stato un vero e proprio detonatore.

Nonostante il tremendo rincaro dei costi delle materie prime, in primo luogo quelle energetiche, la nostra economia negli ultimi mesi ha “tenuto botta”, anzi ha dimostrato per molti una capacità di resistenza insospettabile, tanto che nel secondo trimestre di quest’anno abbiamo superato i livelli di sviluppo del 2019, superando quindi il contraccolpo pandemico.

Un indicatore per tutti è rappresentato dalla crescita delle esportazioni, che nel mese di agosto hanno segnato un ulteriore incremento, a testimonianza di una capacità competitiva a livello internazionale che rimane ancora consistente.

Certo indubbiamente l’aumento delle esportazioni è il frutto anche di un incremento dei prezzi praticati dalle imprese, ma se guardiamo la dinamica dei prezzi alle esportazioni, vediamo che gli incrementi sono stati sostanzialmente contenuti e comunque minori di quelli che si sono registrati nei prezzi all’importazione.

In altri termini è come se le imprese avessero deciso di assorbire gli aumenti di costo contraendo i loro margini sui mercati internazionali, per evitare di ridurre la propria competitività e quindi compromettere le posizioni acquisite all’estero.

Tutto questo è avvenuto nonostante il clima di fiducia delle imprese sull’andamento della situazione economica futura fosse in riduzione da almeno tre mesi e a settembre ha segnato il valore più basso dal mese di aprile 2021.

Ma fino ad ora, per dirla con il titolo di un film di Federico Fellini, “la nave va”, pur tra contraccolpi e sussulti.

In questa situazione le prospettive sul futuro a breve sono strettamente legate all’andamento dei costi energetici che possono avere un duplice effetto: la lievitazione dei costi, che rischia di porre fuori mercato le imprese per eventi assolutamente esogeni ed estranei a una sana gestione aziendale; l’alimentazione per questa via di un processo inflattivo tutto di origine esterna, che erode il potere di acquisto delle famiglie e quindi compromette la capacità di spesa e quindi la domanda interna, un fattore che nell’ultimo anno ha avuto un ruolo importante nello spingere verso l’alto il nostro PIL.

Se fino ad ora i servizi e il turismo hanno sostenuto l’andamento un poco meno tonico dell’industria, l’aumento dei prezzi potrebbe indebolire le tendenze alla crescita e quindi riverberarsi in uno scenario di flessione dello sviluppo.

Sulla base delle simulazioni condotte da Confindustria l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione potrebbe salire fino all’11,0% nel 2022 e fino al 14,6% nel 2023 per l’economia italiana, a fronte di una incidenza del 4,6% del periodo precedente alla pandemia.

E’ quindi evidente che dinanzi a questa situazione le prospettive di sviluppo, in assenza di provvedimenti correttivi saranno più modeste per l’anno prossimo ed infatti l’aggiornamento al Documento di Economia e Finanza del Governo stima la crescita tendenziale prevista per il 2023 dello 0,6%, in forte calo rispetto al 2,4% programmatico del DEF di aprile scorso e contro una crescita attesa quest’anno pari al 3,3%.

Il punto riguarda proprio la politica economica che il nuovo Governo potrà mettere in campo per intervenire su questo scenario, sapendo che può basarsi su di una struttura produttiva che negli scorsi anni ha messo in atto un processo di profonda ristrutturazione.

Ma è fuori di dubbio che per fronteggiare una questione che ha le sue cause un variabili geo-politiche serve un approccio almeno europeo, nel senso che una soluzione al riguardo non può essere trovata a livello di singoli paesi ed esiste un interesse collettivo dell’Europa a rilanciare lo sviluppo a partire da economie come la nostra che hanno dimostrato di saper competere e anche di svolgere negli ultimi mesi un vero e proprio ruolo di locomotiva dello sviluppo europeo.

Se l’Unione sarà capace di rispondere anche a questa sfida come ha fatto con la pandemia, individuando un Programma di forte impatto come il New Generation UE, allora le prospettive per il 2023 potranno essere migliori di quelle attualmente ipotizzabili.

Nel film di Fellini si identifica la fine di un’epoca, forse anche questa crisi potrebbe segnare la fine di un’epoca: quella in cui l’economia è considerata una questione distinta dalla geo-politica. La storia ci insegna che le due dimensioni sono strettamente intrecciate e recuperare questa consapevolezza potrà aiutare a trovare soluzioni anche per la crisi che stiamo vivendo.

Gaetano Fausto Esposito, Direttore Generale Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne” e docente di Economia Politica all’Universitas mercatorum. Autore di numerosi saggi e volumi sui temi dell’economia finanziaria e dello sviluppo, dell’economia industriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Attualmente si occupa del ruolo dei processi fiduciari nello sviluppo economico e di economia della sostenibilità istituzionale.

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