giovedì, Aprile 25, 2024
HomeAssocameresteroL’Italia verso il reshoring. Cresce il contenuto di qualità e il “Made...

L’Italia verso il reshoring. Cresce il contenuto di qualità e il “Made in Italy” delle nostre produzioni

C’è una nuova forma di ritorno al territorio nell’industria italiana che esporta? Molti segnali vanno in questa direzione.
Si è appena concluso un anno che potrebbe far registrare un ulteriore record nell’avanzo dei conti con l’estero. In attesa dei dati definitivi le ultime informazioni dell’Istat relative ai primi dieci mesi quantificano l’avanzo commerciale in 37,3 miliardi.

All’avvio di un 2018 che potrebbe migliorare ulteriormente le nostre performance esportative sembra che il Paese abbia imboccato la strada del modello di internazionalizzazione 4.0, che valorizza il ruolo dei fattori territoriali in una logica globale.

Il Made in Italy è il frutto della capacità di tanti distretti di piccole imprese di saper introdurre innovazione incrementale e coniugarla con gusto, creatività e capacità di cogliere esigenze di segmenti crescenti di clientela, proiettando un’immagine di novità che è stata vincente in molti casi, a cominciare dalla meccanica vero settore di punta del nostro export.

Con la grande crisi cominciata nel 2007 questo modello di territorio ha cominciato a scricchiolare e segnare limiti crescenti, per la sua incapacità di proiettarsi in una dimensione più ampia, non solo dal punto di vista della vendita, ma anche (e forse soprattutto) nel saper utilizzare convenienze globali nei processi di produzione: in altri termini di trarre vantaggio, come già facevano altri Paesi nostri competitor, da capacità produttive esistenti in altre realtà-Paese.

Quando lo abbiamo fatto il fattore di attenzione è stato il costo dei prodotti, il che ha dato vita in molte zone del mondo a fenomeni di decentramento produttivo di lavorazioni in contesti geografici più favorevoli, in primo luogo in termini di costo della mano d’opera.
In tanti casi si è trattato di una risposta dettata dalla “febbre cinese” da costo il cui virus è stato l’irrompere sulla scena mondiale della Cina, che infatti ha colpito fortemente le nostre imprese, un dato è significativo: alla fine del secolo mentre il grado di esposizione concorrenziale alle esportazioni cinesi dei principali competitor europei era di circa il 20% da noi il valore saliva al 31%, quasi un terzo dell’export complessivo.
Questa risposta, magari non del tutto appropriata, ha però avuto il vantaggio di far comprendere alle nostre imprese che occorreva ritrovare convenienze in contesti più ampi, specializzando le nostre capacità su fattori più a monte del processo produttivo in senso stretto: migliorando il rapporto tra prodotto e costi si migliora la produttività e in prospettiva anche la competitività. In questa fase buona parte dei nostri distretti ha sperimentato una crisi di identità e una riduzione della presenza all’estero. È stata anche una fase molto selettiva per le aziende: la crisi ha picchiato duro e molte – soprattutto le più piccole – non ce l’hanno fatta a riposizionarsi.
Oggi però cogliamo una fase diversa: il ritorno della manifattura in diversi luoghi che nel passato l’avevano decentrata all’estero. Reshoring, questo è il termine usato per segnalare l’inversione di tendenza. Ed è una scelta dettata dalla volontà di far crescere il contenuto di qualità delle nostre produzioni, in particolare nei settori del fashion, della meccanica e dell’elettronica.
Che significa questo? Che stiamo riportando in Italia quote di valore aggiunto prima collocate all’estero. È un fenomeno ben rappresentato dai dati macroeconomici: nel periodo 2007-2010 (epicentro della crisi) il contenuto di valore aggiunto delle vendite all’estero si è ridotto da noi in percentuale molto superiore rispetto agli altri Paesi competitor. Ma già dal 2011 c’è una inversione di tendenza, che è andata di pari passo col miglioramento della competitività di prezzo dei prodotti, suggerendo una certa correlazione tra i due fenomeni.
A nostro avviso questa tendenza si rafforza ulteriormente negli ultimi anni proprio per effetto dei processi di reshoring.
Tassi percentuali di crescita delle esportazioni complessive e del valore aggiunto contenuto nelle esportazioni

M. Bugamelli et Al., Back on track? A macro-mico narrative of italian exports, Banca d’Italia, ottobre 2017
E contemporaneamente diversi distretti industriali ritornano ad acquisire posizioni rilevanti sui mercati internazionali, tanto che oggi da soli rappresentano circa l’80% dell’avanzo commerciale dell’intera industria manifatturiera. Ci sono perciò molti segnali che fanno scorgere un “ritorno al territorio” dal punto di vista delle esportazioni, con una logica però profondamente mutata rispetto al passato.
È un “ritorno” attuato in un quadro molto più ampio di relazioni produttive, che non si chiudono, nel distretto, ma si alimentano attraverso l’osmosi con altri contesti geografici, in coerenza con la nuova formula di globalizzazione che coniuga saperi e know-how locali con capacità di interazione e connessione globale. Dove il recupero di antiche vocazioni si è accompagnato con capacità di gestione globale c’è stata quindi ripresa e sviluppo, a scapito dei territori dove la capacità è mancata.
Volendo indicare quindi alcune linee di tendenza possiamo dire che:

molto probabilmente si sta affermando un percorso di sviluppo che comporta la necessità di avere un maggiore controllo della qualità del processo produttivo nel nostro Paese (in particolare in alcuni settori di specializzazione come il fashion, la meccanica e anche l’elettronica), proprio per acquisire migliore competitività sul versante della qualità dei prodotti;
in ogni caso il rapporto tra ripartizione delle lavorazioni su scala internazionale e localizzazione in Italia va tenuto in costante e continua tensione, per individuare tutte le possibili convenienze ed anzi queste ultime sono soggette a cambiamenti molto più fluidi rispetto al passato, da monitorare con continuità avvalendosi di terminali che hanno una “piena vista” su quanto accade all’estero;
le politiche per la crescita delle nostre vendite all’estero, non possono solo occuparsi di aumentare l’export ma anche di agire per supportare la qualificazione delle produzioni “core” sul nostro territorio, migliorando la competizione all’interno e all’esterno del Paese e intervenendo sul mix tra fattori competitivi territoriali contestualizzati e crescita delle reti di collegamento a livello mondiale;
ne consegue che queste policy vanno realizzate anche con il pieno coinvolgimento degli attori locali dello sviluppo, chiamati a dare un importante contributo per rendere sempre più produttive catene locali e catene globali del valore, insomma delle catene glocali del valore.

di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale di Assocamerestero
Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).

Translate