venerdì, Aprile 19, 2024
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Profit first? Meglio se va d’accordo anche con i valori della persona

Profit first! Potremmo dire parafrasando il motto di Donald Trump sull’America. Perché sotto molti versi la (new?) wave del capitalismo americano sembra aver ritrovato nell’obiettivo unico del profitto una sua ragione unificante.
Sta ritornando la favoletta dell’alta marea, quella che quando si alza trascina con sé anche le barche più piccole, metafora creata in ruggente epoca reaganiana per dire che se le cose vanno bene per i più ricchi, se crescono i profitti e i dividendi alla fine stanno tutti meglio, anche chi oggi sta peggio, perché la maggiore ricchezza sgocciolerà sulle classi meno abbienti.
Un corollario di questo ragionamento è che bisogna eliminare tutte le possibili restrizioni che impediscono la fede nel profit first e quindi non porsi (o mettere in assoluto secondo piano) le preoccupazioni relative all’ambiente, espungere dalle scelte aziendali considerazioni di ordine sociale e finalità non strettamente attinenti al conseguimento del maggiore profitto o del più elevato valore delle azioni (lo “shareholder value”) tanto invocato anche in termini di parametro per l’aggancio delle turbo-retribuzioni dei manager.
Insomma una bella lezione di capitalismo neo-liberista… Anzi diciamo di quella forma ambigua e parecchio ipocrita che il sociologo Colin Crouch definisce neo-liberismo aziendalista che dietro la falsa difesa del libero mercato alla fine tende a procurare ampie posizioni di rendita e di pseudo-monopolio da difendere e mantenere, a tutto discapito di quanti vogliono cercare di fare libera impresa, in aperto contrasto con il neoliberismo di mercato, che sostiene ovunque e in ogni caso la libera concorrenza come principio di affrancamento generale e di libertà per gli individui.
Si tratta di una sorta di fantasma che –una volta posta alle spalle la lunga e dolorosa recessione mondiale degli anni scorsi– si sta di nuovo affermando, in maniera neanche tanto strisciante, non appena è comparso il segno più sui tassi di incremento del Pil, malgrado le tante affermazioni della necessità di temperare i (presunti) meccanismi equilibranti di mercato con considerazioni di ordine sociale.
Ma è davvero questa la situazione? Veramente la dottrina del profit first è incompatibile con un ambiente di lavoro non semplicemente più umano ma più umanizzato, con una maggiore considerazione delle tematiche di ordine sociale e dei risvolti sociali dell’attività d’impresa, in sintesi con un capitalismo “dal volto umano” più volte richiamato da Giacomo Becattini, l’economista che ha narrato la storia dei nostri distretti industriali?
Efficienza e profitto cozzano realmente con responsabilità sociale, maggiore considerazione degli altri e forme più o meno avanzate di condivisione?
Sorpresa, sembra proprio di no! Recentemente l’Istat ha effettuato un approfondimento su questo tema e i risultati sono molto chiari: il 56 per cento delle imprese manifatturiere adotta comportamenti per salvaguardare l’ambiente; circa il 49 per cento strategie che tengono conto dell’impatto sociale dell’attività aziendale, un 45 per cento pianifica azioni con un orizzonte di medio-lungo termine per costruire un valore durevole e poi c’è circa un 30 per cento che coinvolge i portatori di interesse (quelli che vengono definiti stakeholders) nella preparazione delle decisioni aziendali. Più in generale c’è circa un 48 per cento di imprese definibili più o meno attente alla sostenibilità. E questa attenzione non è un retaggio di vecchie e romantiche pratiche, perché più una azienda è innovativa più aumenta la sua attenzione per questi temi.
Ma c’è anche di più! I comportamenti verso la sostenibilità migliorano anche le performances aziendali, c’è un vero e proprio “premio di sostenibilità”, in termini di produttività del lavoro, crescente all’aumentare del grado di sostenibilità dell’impresa: le aziende altamente sostenibili hanno una produttività del 10,2 per cento superiore a quelle aventi una bassa sostenibilità. Non c’è che dire una bella smentita per quanti sostengono il profitto prima di tutto e solo questo! Allora la sostenibilità conviene e il profitto può andare di pari passo con una maggiore attenzione verso gli altri, ci sono speranze per dirla sempre con Colin Crouch di “salvare il capitalismo da se stesso” e guardare a forme di capitalismo civile basate sull’impresa.
È possibile anche individuare un nucleo di imprese “civilmente responsabili” come recentemente abbiamo fatto con Maria Antonella Ferri e Andrea Mazzitelli attraverso un’analisi qualitativa in cui abbiamo trovato che l’11 per cento delle imprese esaminate si caratterizza come “civilmente responsabili”, perché oltre agli aspetti di “sostenibilità” ha anche un atteggiamento di responsabilità verso il consumatore e fa ricorso a forme socialmente responsabili di marketing.
È poco. È tanto? Probabilmente è significativo di una tendenza che mette in crisi i canoni tradizionali del neoliberismo, sia di mercato che di matrice aziendale, e ci induce a essere possibilisti sul fatto che il profit first può accompagnarsi a una diversa considerazione del ruolo delle persone, anzi in alcuni casi quest’ultima può anche essere funzionale a creare un più vasto e ricco sistema di valori in cui quelli di ordine monetario sono forse la parte meno importante e (probabilmente) meno arricchente dal punto di vista personale!
di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale di Assocamerestero
Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).
 

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