venerdì, Aprile 26, 2024
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Economia di guerra? Perché la crisi COVID-19 è veramente diversa

“Economia di guerra”. L’espressione è stata evocata più volte in queste settimane nel dibattito sui provvedimenti economici per gli effetti del COVID-19, metafora della lotta contro un nemico subdolo come il Coronavirus. Perché questo paragone? La situazione è molto grave, ma per quale motivo non può essere assimilata ad altre (pur gravi) vissute recentemente? Anche quella del 2007-2008, durata tanti anni, ha avuto effetti economici molto drammatici (pur senza una diretta perdita di vite umane).
No, quello che sta accadendo oggi è molto diverso e per tante ragioni. In genere quando c’è una crisi economica la causa – il cosiddetto shock – riguarda la domanda complessiva (di famiglie e imprese): c’è prodotto ma sono i consumatori a non acquistare e le imprese a non voler investire; oppure l’offerta complessiva è ridotta per vincoli alla produzione, c’è chi vuole comprare ma non c’è prodotto.
Ma l’attuale emergenza economica è – dal punto di vista macroeconomico – contemporaneamente crisi di domanda e di offerta, in termini “spicci” non si può comprare e non si può produrre, e in più è accompagnata da una fortissima incertezza (diciamo pure vera e propria paura) che fa rinviare acquisti e investimenti. È la prima volta che una situazione del genere si diffonde contemporaneamente e violentemente in tanta parte dell’economia globale:

World Bank

Contemporaneità di crisi di domanda, di offerta e incertezza, fanno sì che il mercato, in qualsiasi accezione lo vogliamo considerare, non riesce a (e non può più) funzionare. Non è più un riferimento per uscirne!
La crisi oggi è “simmetrica” (praticamente si sta estendendo a tutti i paesi del mondo) e rapidissima nella diffusione. Nel passato le crisi si espandevano “ad onde”, con una rapidità di “contagio economico” molto minore dell’attuale (solo negli USA in una settimana si sono persi 3,3 milioni di posti di lavoro e la borsa di New York in un mese ha ceduto circa il 30% della capitalizzazione). Nel frattempo (come è stato proprio per gli USA dopo il 2008) alcuni paesi potevano uscirne prima e, tramite il commercio internazionale, cominciavano a fare da volano per la crescita. Ma ora non è più così!
Infine, a differenza della maggioranza delle crisi del passato, innescate dalla finanza, adesso lo shock congiunto di domanda-offerta sta contagiando la struttura finanziaria perché le banche – spesso ancora appesantite – sono coinvolte in prestiti ad imprese non più in grado di far fronte alle loro obbligazioni. Allora parlare di economia di guerra, pur senza che ce ne siano le tipiche caratteristiche, significa evocare una situazione eccezionale e di emergenza, sottolineando la necessità di un approccio svincolato, almeno per un po’, dall’idea secondo cui “passata la nottata” il mercato rimetterà le cose a posto.
Vuol dire non demonizzare una spesa pubblica in forte deficit per fronteggiare questa inedita emergenza, adottare provvedimenti straordinari per dare liquidità immediata a imprese e famiglie (in coerenza con lo shock produzione-consumi-investimenti, magari con restituzione molto differita nel tempo), ma soprattutto rilanciare una presenza pubblica più attenta (e perché no anche più diretta) nella gestione dell’economia di mercato.
Economia di guerra significa infine anche recuperare e aggiornare alcune lezioni della storia (pure del nostro Paese) che dimostrano, come il titolo del libro di Mariana Mazzucato, che l’intervento dello Stato può essere anche innovatore, con azioni intenzionali di politica industriale, e non serve solo a sanare le cattive gestioni di imprese del passato! Certo vanno definiti con attenzione i processi di governance e le procedure di accountability.
E allora vengono alla mente le parole di John Maynard Keynes: “Dobbiamo inventare una saggezza nuova per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”. Magari da questa drammatica situazione può venirne “qualcosa di buono” per legittimare un diverso intervento pubblico nell’economia.
di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale di Assocamerestero

Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).

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