La bioeconomia campo di sperimentazione per uno sviluppo più umano-centrico di Gaetano Fausto Esposito

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L’Unione europea, già dal 2021, ha identificato nella sigla “Industria 5.0” una sorta di paradigma che equilibra l’efficienza tecnologica con la sostenibilità e il focus sui bisogni dell’uomo

Antropocentrismo, termine non bellissimo, che indica la tendenza a considerare l’essere umano e i suoi bisogni al centro dell’universo. Una tendenza che da un po’ di tempo è alla base dei documenti di policy delle istituzioni internazionali. Sotto molti versi anche l’individuazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (i Sustainable Development Goals di Agenda 2030) della Nazioni Unite parte da una valorizzazione di questo approccio.

L’Unione europea, già dal 2021, ha identificato nella sigla “Industria 5.0” una sorta di paradigma che equilibra l’efficienza tecnologica con la sostenibilità e il focus sui bisogni dell’uomo.

L’enfasi sulle tecnologie, nello specifico quelle digitali, che ha caratterizzato il percorso di Industria 4.0 si è dimostrata eccessivamente limitata per conseguire gli obiettivi di un più integrale e pieno sviluppo.

L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’economia e sulla società sta ulteriormente facendo emergere il tema di come fare perché questa sfida dirompente sia di supporto e valorizzazione delle capacità umane e non di sostituzione e impoverimento perché, come sostenuto nell’ultimo libro di Henry Kissinger sull’Era dell’intelligenza artificiale: “L’intelligenza artificiale può migliorare – o se impiegata in modo sbagliato – peggiorare l’umanità, ma la sua stessa esistenza sfida, e in alcuni casi trascende, presupposti fondamentali”.

Da qui anche le necessarie differenze tra l’approccio efficientistico-produttivo 4.0 rispetto a quello di Industry 5.0 che valorizza il fattore umano e una più ampia socialità per lo sviluppo.

In questo ambito un ruolo centrale assume la transizione verso modelli di economia sostenibile basati sull’utilizzo di materie prime biologiche.

E qui si aprono spazi e prospettive per la filiera (o forse meta filiera considerato che sono molto diffuse in tanti settori) delle imprese cosiddette bio-based, che producono beni usando totalmente o in parte risorse biologiche e/o materie prime di origine naturale, o utilizzano prodotti bio-chimici e reflui urbani, agricoli e industriali.

“Con Aristotele l’economia sorse dall’etica. Ora le carte sembrano capovolte: una nuova etica emerge dalla bioeconomia e il suo comandamento è: Ama la tua specie come te stesso” così scriveva nel 1983 Nicholas Georgescu-Roeghen, l’economista che è considerato da molti il fondatore del moderno approccio alla bioeconomia.

Ma le imprese della bioeconomia sono effettivamente più attente e aperte a un approccio umano-centrico e al ruolo delle persone, tanto da identificare una nuova etica? E’ una domanda cui è possibile rispondere sulla base di una recente ricerca realizzata dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne in collaborazione con il Cluster Spring della bio-economia circolare, che scandaglia a fondo il mondo di queste imprese.

Essere bio-based è sicuramente conveniente in quanto le aziende che lavorano in questo ambito, realizzano delle performances di fatturato di diversi punti percentuali superiore alle imprese non bio-based. Sono anche più attente agli aspetti di innovazione, sia dal punto di vista delle tecnologie digitali, sia – in particolare – sotto il profilo di quelle green.

Ma queste imprese hanno anche una maggiore attitudine a valorizzare le risorse umane. Le imprese bio-based hanno una visione più umano-centrica poiché più impegnate nel welfare aziendale e nella formazione. Il 55% investe in attività che favoriscono la salute e/o il benessere dei lavoratori (welfare aziendale) e la conciliazione casa-lavoro oltre a quanto specificatamente previsto dalla legge (contro un 43% delle non bio-based). Il 62% delle imprese bio investe in formazione per i propri dipendenti (versus il 55% delle imprese non-bio).

Si tratta poi di un’attenzione che cresce ancora di più nel Mezzogiorno, un’area del Paese in cui, a differenza di altri aspetti, il segmento delle imprese bio-based è particolarmente presente e con risultati anche superiori a quelli del resto dell’Italia, e dove il tema formativo delle risorse umane assume una sensibilità anche maggiore che nel Centro-Nord.

Forse è proprio vero come sosteneva Georgescu-Roegen che la bioeconomia sta aiutando a far nascere una nuova etica più attenta alle persone e in questo senso si pone come un concreto campo di sperimentazione per uno sviluppo centrato sulla risorsa umana e quindi anche più connotato da aspetti di ordine valoriale, nel pieno quadro di Industry 5.0 e per un modello di crescita più equo e sostenibile.

Gaetano Fausto Esposito, Direttore Generale Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne” e docente di Economia Politica all’Universitas mercatorum. Autore di numerosi saggi e volumi sui temi dell’economia finanziaria e dello sviluppo, dell’economia industriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Attualmente si occupa del ruolo dei processi fiduciari nello sviluppo economico e di economia della sostenibilità istituzionale.