La pizza: una storia italiana di emigrazione

0
71

Ogni anno, il 17 gennaio, si celebra il World Pizza Day. Una giornata speciale, dunque, dedicata a una delle più importanti e conosciute eccellenze italiane all’estero. Un simbolo della cultura culinaria made in Italy che genera un fatturato di circa 15 miliardi di euro e che coinvolge circa 121 mila locali in Italia, con più di 100 mila lavoratori. Un alimento che dagli anni Cinquanta del Novecento è diventato sempre più riconoscibile come prodotto bandiera italiano. Un alimento che deve la sua fama sì alla bontà della pizza napoletana, ma anche e soprattutto alla sua diffusione avvenuta grazie all’emigrazione italiana negli Stati Uniti (e non solo).
Se in tutta la zona del Mediterraneo il “disco di pasta” con sopra il condimento era noto e diffuso già dall’inizio dell’800, è negli Stati Uniti che la pizza è diventato un prodotto di straordinario successo riconducibile direttamente al Belpaese. E lo ha fatto per tramite degli italiani del sud (napoletani in particolare) che avevano deciso di attraversare l’Atlantico in cerca di fortuna nell’America del nord. Lì, a cavallo tra Otto e Novecento, quel prodotto povero incontrò ingredienti nuovi, diversificandosi e diventando immediatamente uno dei prodotti più diffusi tra gli italo-americani e tra gli statunitensi in generale (che aprivano già “pizzerie” vere e proprie, abbandonando passo dopo passo i “forni”, dove veniva venduta in precedenza la pizza, cosa che farà anche l’Italia del nord nel secondo dopoguerra). È così che la pizza tornò nelle sue terre di origine e, anno dopo anno, il prodotto riuscì a diventare sempre più ricco, più gustoso e più simbolico, diffondendosi dal sud d’Italia (Napoli in particolare) al settentrione grazie ai soldati statunitensi (e italo-statunitensi) di stanza nel meridione durante la seconda guerra mondiale. E poi diffondendosi ancora di più dall’Italia al mondo negli anni successivi.
La Giornata Mondiale della Pizza è stata istituita nel 1984 da un gruppo di piazzaioli napoletani intenzionati a promuoverla come simbolo della cultura e della cucina italiana. La data del World Pizza Day ricorda la prima documentazione ufficiale che parla della pizza, risalente al 1889, anche se in realtà, già da metà dell’Ottocento si notavano diverse pubblicazioni che riguardavano i prodromi della pizza. Una storia che ha portato ad oggi ben 2,7 miliardi di pizze preparate ogni anno. Questo quantitativo si traduce in una richiesta annuale di ingredienti pari a 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio d’oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro, con fatturato di settore che supera i 15 miliardi di euro.
“Il riconoscimento dell’UNESCO, porta la pizza nell’Olimpo della cucina nazionale e internazionale e identifica l’arte del pizzaiuolo napoletano come una tradizione degna di esser trasmessa di generazione in generazione. La pizza, che sia al piatto o al taglio, è uno dei piatti protagonisti di un viaggio in Italia”, ha commentato a riguardo il Ministero del Turismo. Effettivamente, la pizza è un tesoro del Made in Italy e colonna del nostro sistema economico. Lo dimostra il fatto che quasi 2 italiani su tre (65%) la mangiano una volta a settimana (dati Coldiretti/Ipsos), e un 13% la mangiano tra le due e le quattro volte a settimana.
In quanto alle percentuali di consumo nel mondo (al netto di varianti autoctone che fanno tremare i polsi agli italiani), la Pizza Margherita resta ancora la più amata. Gli statunitensi sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa. In Europa, gli italiani sono in testa con 7,8 chili all’anno, seguono spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono la classifica.
La pizza resta, dunque, uno tra gli alimenti della tradizione culinaria italiana più apprezzati al mondo, oltre che uno tra i più economici e popolari. E resta, dunque, uno dei più importanti debiti che l’Italia deve alla sua storia dell’emigrazione. È il caso di ricordarlo. (lu.ma.\aise)